Il suo nome è Veena Malik e gliele ha cantate. Segnalato da Christian Rocca, questo video è un manifesto dell'emancipazione femminile contro l'islamofascismo. Che ovviamente verrà ignorato dalle femministe.
28 mar 2011
24 mar 2011
Il buco nero. Africa, medioriente, Iran. Il fronte della rivolta anti-autocratica si estende, tra mezze vittorie e fuochi di guerra civile, in quella parte di mondo che molti pensavano immune a qualsiasi contagio democratico. Gli esiti sono ancora incerti, ma il risveglio delle coscienze è in sé un fatto (e un atto) rivoluzionario. Resiste solo una striscia di terra, come un villaggio di Asterix alla rovescia, tra la West Bank e Gaza, dove il tempo sembra non passare, dove qualsiasi prospettiva di cambiamento finisce per essere inghiottita da un buco nero. Ci hanno spiegato per anni che il medioriente non sarebbe mai cambiato prima che il conflitto israelo-palestinese fosse risolto. Scuse. Quella delle popolazioni arabe coalizzate con i loro despoti contro il comune nemico - Israele - era la favola oscena delle diplomazie, degli ideologi del terrore e dei loro simpatizzanti. I popoli si sono ribellati, ma la loro rabbia non si è scatenata contro Gerusalemme o Washington. Sorpresa. Dal buco nero ieri è partito l'attacco che ha sventrato una fermata d'autobus e sfregiato di passaggio una cinquantina di persone. Cambiano i linguaggi della rivendicazione in medioriente, ma per i palestinesi, per il loro figli indottrinati nelle scuole dell'odio, per i mandanti e gli esecutori delle stragi tutto sembra rimanere uguale. Un mondo chiuso dentro uno che rompe il guscio. Nessuna domanda, nessuna voglia di riscatto. E poi accuse, e accuse e scuse, senza ritorno. E prima c'erano stati Ehud e Ruth, assassinati a Itamar insieme ai loro tre bambini. Coloni, certo, vil razza dannata, come si incaricano di ricordare appena possono i nostri progressisti, sempre così attenti a leggere la complessità del mondo da perdersi nella semplicità di un crimine senza attenuanti. Scuse. E così non si esce dal buco nero.
21 mar 2011
La guerra è una cosa seria. Premesso che la politica del non-intervento è la morte dell'occidente, l’attacco alla Libia suscita tuttavia alcune perplessità. Sbagliati i tempi (prima un’attesa incomprensibile che ha permesso a Gheddafi di recuperare terreno, poi una decisione frettolosa e improvvisata, dettata dalla paura delle conseguenze di una sua più che probabile permanenza al potere); non chiare le motivazioni (difendere i civili va bene, ma l’obiettivo dev’essere il regime change a questo punto: e nessuno l’ha detto chiaramente. Quella di Obama è una boutade, nemmeno lui ormai può credere che protezione dei libici e fine del regime siano cose diverse); assente una strategia di medio periodo (il dopo-Gheddafi non è delineato e dubito che le cancellerie europee abbiano davvero un’idea chiara sul da farsi, anche perché dei ribelli si sa poco o nulla). Insomma un mezzo pasticcio che potrebbe comunque avere un lieto fine. L’interventismo democratico, ripeto, dev’essere la cifra dell’occidente. Ma va attuato con convinzione morale e con previsione strategica. Non mi sembra che nessuna delle due sia riscontrabile per il momento.
16 mar 2011
A Tokyo c'è una marea di gente. Potete scegliere: o l'apocalisse dei giornali italiani o la realtà di chi in Giappone ci vive. Il Buroggu torna per l'occasione a raccontare la quotidianità ai tempi del terremoto nucleare.
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