20 dic 2007

Seriamente.



Io credo che Hillary qui sia bellissima.
E che attaccare una candidata per le rughe dell'età sia come minimo una sciocchezza colossale.

18 dic 2007

17 oct 2007

Un monaco buddista e un presidente.



E ci dispiace per gli altri che sono tristi...

18 sept 2007

Birmania. La sfida dei religiosi. Oggi i monaci birmani hanno alzato il livello della protesta. A Yangon si sono disposti in fila indiana per marciare verso la Shwedagon Pagoda, il luogo più sacro del paese, tra gli applausi dei presenti. Le squadre del regime hanno bloccato gli accessi al tempio ma non sono intervenute a disperdere la manifestazione. La stessa scena si è ripetuta quasi simultaneamente in diverse località della Birmania dove gruppi di monaci, in maggioranza giovani, hanno sfidato apertamente il regime in una contrapposizione le cui conseguenze sono ancora tutte da scrivere. In un gesto di ribellione clamoroso e umiliante, i buddisti minacciano di rifiutare le tradizionali elemosine offerte dai militari e dalle loro famiglie, in risposta alle mancate scuse dei responsabili dei pestaggi di Pakokku, due settimane fa. A Sittwe gli scontri si sono ripetuti e gli ufficiali dell’esercito hanno usato i lacrimogeni.
Come già spiegato la situazione è delicata per i detentori del potere: schiacciare come mosche la popolazione civile è un conto, fare lo stesso con la casta dei religiosi un altro. Intanto l’occhio della comunità internazionale si sta lentamente aprendo sui fatti birmani. Purtroppo nelle prossime settimane il dibattito si sposterà alle Nazioni Unite dove presumibilmente si arenerà. Ma la realtà di una nazione stremata ha il sopravvento. Le proteste di questi giorni non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle dell’88 per imponenza e partecipazione - non ancora almeno - ma stanno ottenendo una risonanza infinitamente maggiore grazie soprattutto all’immediatezza della diffusione delle notizie nell’era del digitale. Quando diciannove anni fa l’esercito soffocò nel sangue la ribellione civica di studenti e monaci praticamente nessun mezzo di comunicazione era presente e i testimoni diretti delle proteste e del conseguente massacro non ebbero nessuna possibilità di raccontarlo. Oggi una fotografia rubata o un messaggio telefonico sfuggito alle maglie della censura sono sufficienti ad innescare una serie di reazioni a catena in grado di finire in pochi minuti sulla prima pagina dell’edizione online del NYT. Persino in un paese isolato, controllato e tecnologicamente arretrato come la Birmania questo meccanismo dimostra di poter essere vincente ed il suo impatto in una società per molti aspetti arcaica e tagliata fuori dai circuiti internazionali merita di essere attentamente studiato.

13 sept 2007

Birmania. Pensieri sparsi/9. La Birmania in una foto. Un uomo di sei-sette anni, in equilibrio sulla sua barca, il volto serio a fissare un obiettivo che vergognosamente lo ritrae, forse per la prima volta. L’infanzia è finita da un pezzo e a casa c’è chi aspetta qualcosa da mangiare la sera o da vendere al mercato il giorno dopo. Noi a pochi metri, senza nemmeno il coraggio di rivolgergli una parola, di chiedere il suo nome. Troppo duro quello sguardo, troppe domande senza risposta.
La situazione dei bambini birmani è spaventosa. Nonostante le statistiche ufficiali, meno della metà della popolazione infantile frequenta le scuole primarie e secondarie e solo un quarto le conclude regolarmente. L’educazione è garantita nelle fasi iniziali, dopodiché le famiglie devono sobbarcarsi ogni spesa: l’abbandono scolastico è persino una ovvietà in queste condizioni e lo sfruttamento minorile è la regola. Appena si è in grado di sostenere un peso o di muoversi con le proprie gambe si diventa carne da lavoro: i più fortunati servono in qualche bar, agli altri tocca la fatica del campo o la calca dei centri urbani. L’arcadia dei primi anni di vita, quando ancora non puoi essere e non puoi sapere, lascia ben presto il posto alla quotidiana lotta per la sopravvivenza. Non c’è tempo, bisogna crescere in fretta. E sembra tutto così scontato che a tratti ti scopri ad osservare senza più nemmeno stupirti, come se la banalità del male prendesse naturalmente il sopravvento sulla dignità umana.
Secondo stime recenti delle Nazioni Unite il tasso di mortalità nei primi dodici mesi si situa intorno al 77/1000 e quello al di sotto dei cinque anni si eleva al 109/1000. La diffusa pratica dei lavori forzati coinvolge anche i più piccoli. Inoltre è dell’esercito birmano il primato di bambini-soldato: si calcola che dai 50.000 ai 70.000 siano i minori reclutati dalle forze armate per servire la patria. Spesso l’arruolamento avviene nei quartieri degradati delle principali città, sotto la minaccia dell’arresto o di ritorsioni contro i familiari. In effetti non è difficile portarsi via un bambino in Birmania. Li trovi per strada fin dalla più tenera età, quasi sempre senza adulti al fianco. Si avvicinano perché la curiosità ha la meglio sulla paura, a volte allungano una mano, di solito si limitano a scrutarti. Quelli che sanno riconoscere la tua faccia di straniero ti chiedono di scambiare qualcosa: un sapone, una penna, una caramella. Se sono bambine sarà un rossetto a renderle adulte, come se la vita non bastasse. Si fanno avanti sorridendo, poche frasi in inglese imparate a memoria, se non hai nulla da dare ti strappano la promessa che tornerai. Sanno che non lo farai ma ti salutano ugualmente, con lo stesso sorriso. “Tata”, addio, non lasciarmi qui.
Ti fissano intensamente i figli della Birmania. Nel loro sguardo un perché che non permette repliche.

11 sept 2007



Dissero: "Siamo tutti americani". Ma non era vero.

Non bisogna essere americani per provare rispetto e ammirazione per il coraggio statunitense e newyorchese. Non bisogna essere americani per riconoscere la grandezza di stare dritti come le tante bandiere contro il vento di invidia, razzismo, ingratitudine, rabbia e malafede che contraddistingue chi prima durante e dopo l'11 settembre dimostra di avercela con gli Stati Uniti. Non bisogna essere americani per prendere a modello l'enorme cuore dimostrato dai policemen e dai firefighters della big apple e vivere senza dimenticare il loro sacrificio.
Bisogna azzerare la propria coscienza, però; bisogna rinnegare la propria umanità, piuttosto; bisogna stuprare la propria anima, invece: se si vuole continuare a far finta che l'11 settembre sia un giorno come un altro.

4 jul 2007

30 abr 2007

Scostumate. Siccome la battaglia contro l'islamofascismo è anche quella per l'affermazione della dignità della donna (anche se le femministe sono in vacanza), qui potete farvi un'idea di come i bloggers iraniani hanno reagito all'intensificazione della repressione del regime contro l'abbigliamento femminile "anti-islamico".