Il buco nero. Africa, medioriente, Iran. Il fronte della rivolta anti-autocratica si estende, tra mezze vittorie e fuochi di guerra civile, in quella parte di mondo che molti pensavano immune a qualsiasi contagio democratico. Gli esiti sono ancora incerti, ma il risveglio delle coscienze è in sé un fatto (e un atto) rivoluzionario. Resiste solo una striscia di terra, come un villaggio di Asterix alla rovescia, tra la West Bank e Gaza, dove il tempo sembra non passare, dove qualsiasi prospettiva di cambiamento finisce per essere inghiottita da un buco nero. Ci hanno spiegato per anni che il medioriente non sarebbe mai cambiato prima che il conflitto israelo-palestinese fosse risolto. Scuse. Quella delle popolazioni arabe coalizzate con i loro despoti contro il comune nemico - Israele - era la favola oscena delle diplomazie, degli ideologi del terrore e dei loro simpatizzanti. I popoli si sono ribellati, ma la loro rabbia non si è scatenata contro Gerusalemme o Washington. Sorpresa. Dal buco nero ieri è partito l'attacco che ha sventrato una fermata d'autobus e sfregiato di passaggio una cinquantina di persone. Cambiano i linguaggi della rivendicazione in medioriente, ma per i palestinesi, per il loro figli indottrinati nelle scuole dell'odio, per i mandanti e gli esecutori delle stragi tutto sembra rimanere uguale. Un mondo chiuso dentro uno che rompe il guscio. Nessuna domanda, nessuna voglia di riscatto. E poi accuse, e accuse e scuse, senza ritorno. E prima c'erano stati Ehud e Ruth, assassinati a Itamar insieme ai loro tre bambini. Coloni, certo, vil razza dannata, come si incaricano di ricordare appena possono i nostri progressisti, sempre così attenti a leggere la complessità del mondo da perdersi nella semplicità di un crimine senza attenuanti. Scuse. E così non si esce dal buco nero.
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