Quanto mi manca il texano/2. Ci sarebbe da scrivere parecchio sul caso Armstrong ma non ho molto tempo. Mi limito a poche considerazioni.
1) Il processo cui è stato sottoposto - che non si può nemmeno definire indiziario, in quanto basato essenzialmente su testimonianze firmate dopo la sentenza di condanna - è un chiaro esempio di inversione dell'onere della prova, volto a rendere impossibile una difesa cui giustamente Armstrong ha deciso di rinunciare.
2) Che questo sia avvenuto negli Stati Uniti, sulla spinta di un clamore popolare nato e cresciuto oltreoceano (cioè da noi), dimostra come la civiltà giuridica sia un bene a rischio perfino nelle democrazie più consolidate.
3) Leggere, sulla stampa europea, che non importa che Armstrong abbia superato indenne tutti i test anti-doping cui è stato sottoposto, visto che alla fine la sua colpevolezza è stata dimostrata dal suo stesso rifiuto di difendersi e dalle accuse dei suoi ex-compagni, dà la cifra della considerazione in cui è tenuto lo stato di diritto da parte delle nostre opinioni pubbliche. Fatte le debite proporzioni, è come giustificare le condanne dei processi staliniani in base alle confessioni ottenute dagli imputati.
4) Il sospetto che ha accompagnato Armstrong fin dalle sue prime vittorie non deriva da un convincimento basato su fatti concreti ma dal pregiudizio che, soprattutto in Europa, è riservato ai vincenti di qualsiasi categoria, specialmente se americani. Ad Armstrong non è mai stato perdonato di essere un reduce, un combattente, un esempio di sacrificio e di determinazione. Nessun doping potrà mai cancellare la sua impresa colossale come sportivo e la sua traiettoria esemplare come essere umano. La ricerca spasmodica dell'inganno da parte dei suoi detrattori è cominciata nel momento stesso della sua affermazione come ciclista. Non era concepibile che un sopravvissuto alla malattia si dimostrasse così superiore a qualsiasi altro atleta senza aiuti illeciti. Dal sospetto alla colpevolezza il passo sarebbe stato breve, si trattava solo di trovare i capi di imputazione e qualche compagno di strada disposto a tradirlo. Oggi gli inquisitori hanno la loro vittima.
5) Il problema dello sport non è il doping, ma gli organismi anti-doping. La cultura del sospetto necessaria alla loro sopravvivenza sta distruggendo l'essenza stessa della competizione. L'ipocrisia insita nel meglio puliti che vincenti serve solo a spegnere ogni interesse per la performance, il risultato, la vittoria, che sono da sempre il sale di qualsiasi avvenimento sportivo di alto livello. Per eccellere è necessario arrivare al limite, creare condizioni fisiche e ambientali che consentano di superarsi, allenarsi più e meglio di chiunque altro. Stabilire un confine tra pratiche lecite (gli allenamenti in altitudine o l'assunzione di determinate sostanze consentite, per fare alcuni esempi) e quelle illecite non risponde a nessuna logica coerente, meno che mai quella della parità di condizioni di partenza, in quanto nessun atleta si preparerà mai alla competizione usando gli stessi metodi di un altro. Sarebbe ora di passare pagina e accettare la realtà per quella che è. Armstrong vinceva perché era il migliore e nessuna droga ha mai consegnato a un mediocre sette Tour de France.
1) Il processo cui è stato sottoposto - che non si può nemmeno definire indiziario, in quanto basato essenzialmente su testimonianze firmate dopo la sentenza di condanna - è un chiaro esempio di inversione dell'onere della prova, volto a rendere impossibile una difesa cui giustamente Armstrong ha deciso di rinunciare.
2) Che questo sia avvenuto negli Stati Uniti, sulla spinta di un clamore popolare nato e cresciuto oltreoceano (cioè da noi), dimostra come la civiltà giuridica sia un bene a rischio perfino nelle democrazie più consolidate.
3) Leggere, sulla stampa europea, che non importa che Armstrong abbia superato indenne tutti i test anti-doping cui è stato sottoposto, visto che alla fine la sua colpevolezza è stata dimostrata dal suo stesso rifiuto di difendersi e dalle accuse dei suoi ex-compagni, dà la cifra della considerazione in cui è tenuto lo stato di diritto da parte delle nostre opinioni pubbliche. Fatte le debite proporzioni, è come giustificare le condanne dei processi staliniani in base alle confessioni ottenute dagli imputati.
4) Il sospetto che ha accompagnato Armstrong fin dalle sue prime vittorie non deriva da un convincimento basato su fatti concreti ma dal pregiudizio che, soprattutto in Europa, è riservato ai vincenti di qualsiasi categoria, specialmente se americani. Ad Armstrong non è mai stato perdonato di essere un reduce, un combattente, un esempio di sacrificio e di determinazione. Nessun doping potrà mai cancellare la sua impresa colossale come sportivo e la sua traiettoria esemplare come essere umano. La ricerca spasmodica dell'inganno da parte dei suoi detrattori è cominciata nel momento stesso della sua affermazione come ciclista. Non era concepibile che un sopravvissuto alla malattia si dimostrasse così superiore a qualsiasi altro atleta senza aiuti illeciti. Dal sospetto alla colpevolezza il passo sarebbe stato breve, si trattava solo di trovare i capi di imputazione e qualche compagno di strada disposto a tradirlo. Oggi gli inquisitori hanno la loro vittima.
5) Il problema dello sport non è il doping, ma gli organismi anti-doping. La cultura del sospetto necessaria alla loro sopravvivenza sta distruggendo l'essenza stessa della competizione. L'ipocrisia insita nel meglio puliti che vincenti serve solo a spegnere ogni interesse per la performance, il risultato, la vittoria, che sono da sempre il sale di qualsiasi avvenimento sportivo di alto livello. Per eccellere è necessario arrivare al limite, creare condizioni fisiche e ambientali che consentano di superarsi, allenarsi più e meglio di chiunque altro. Stabilire un confine tra pratiche lecite (gli allenamenti in altitudine o l'assunzione di determinate sostanze consentite, per fare alcuni esempi) e quelle illecite non risponde a nessuna logica coerente, meno che mai quella della parità di condizioni di partenza, in quanto nessun atleta si preparerà mai alla competizione usando gli stessi metodi di un altro. Sarebbe ora di passare pagina e accettare la realtà per quella che è. Armstrong vinceva perché era il migliore e nessuna droga ha mai consegnato a un mediocre sette Tour de France.
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