Che strage che fa. E' già imbarazzante che Adriano Sofri debba ritenersi chiamato in causa ogni volta che a qualcuno viene in mente di riparlare degli anni '70 e che decida, in tutti i casi nessuno escluso, di vergare con la sua prosa involuta (ma mai come quella del discendente) le ragioni e i torti, di distinguere le ricostruzioni vere da quelle inesatte, di dividere il giusto dall'ingiusto e la verità dalla menzogna. E' già imbarazzante che Il Foglio sia ostaggio perenne di questa verborrea da anni di piombo andato a male e che il suddetto discendente si senta in dovere di propinarci sul suo diario online in duplice copia tutte le lettere del padre, come se il ritornare un giorno e un altro ancora su vicende che riguardano ormai ben pochi a parte coloro che ne furono personalmente coinvolti possa contribuire alla crescita civile di questo paese (ché di sicuro è questo il nobile scopo del discendente). Ma quando uno, stremato, si butta lo stesso con tutta la buona volontà di cui è capace sull'ennesima missiva chiarificatrice dell'Adriano e ci trova come incipit un "Caro Fabio Fazio", non può fare altro che arrendersi di fronte ad una chiusura del cerchio che nemmeno le distopíe letterarie più azzardate avrebbero mai potuto concepire. Hanno vinto loro.
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