Maestri e secchioni. Dall'inchino d'ordinanza ai Sofri non ci si salva più. Non passa giorno in cui un'idiozia del Luca, una cronaca-pistolotto dell'Adriano e adesso perfino una rentrée della dama non vengano celebrati dall'italico web in pompa magna. E' diventato un dazio da pagare se vuoi leggere i blog nel belpaese. Mai visto un gruppo di aspiranti opinion-makers così appiattito, conformista e leccapiedi. Ormai non si scrive più per farsi capire, ma solo per farsi notare. Sono buoni solo gli inizi, quando si è liberi da condizionamenti sociali. Poi, appena raggiunto un briciolo di notorietà, è tutto un correre a farsi aprire le porte del salotto buono, dove non entri se non ti raccomanda il figlio di a suon di links. Fenomeno professionale a sinistra ma non esclusivo di quella parte della blogosfera. Basti pensare al curioso destino di TocqueVille, nata per costituire l'avanguardia pensante del centrodestra, trasformatasi da subito nel classico aggregatore di massa e convertitasi nella piattaforma di lancio dei soliti quattro amici, un modo come un altro per far scrivere chi ci sta simpatico e per lasciar fuori tutti gli altri. Mentre altrove i bloggers danno l'assalto alle redazioni, trasformano le campagne dei politici e fondano testate giornalistiche, qui è tutto un citarsi addosso, un richiamare l'attenzione del re taumaturgo, uno stilare classifiche dei direttori nella speranza che ci tocchi la prossima nomination.
Ma torniamo alla dinastia Sofri, un fenomeno che più italiano non si può (altro che Schettino e De Falco). Se i coniugi sono fenomeni passeggeri assurti a pubblica notorietà - ognuno nel proprio ambito di incompetenza - per la banalità del paesaggio che li (ci) avvolge, la faccenda si fa seria quando si parla di Sofri quello anziano. In libertà da pochi giorni fa al termine di una sentenza che probabilmente non avrebbe dovuto mai scontare (e su questo certamente non è il caso di ironizzare), è stato anch'egli immediatamente intronizzato da agiografi ed entusiasti alla categoria di maestro, filosofo e pensatore di riferimento. Scrive complicato Sofri, almeno per me. Per esempio, del suo libro su Pinelli non sono riuscito a venire a capo. Ma questo è un problema mio. Problema di tutti è invece un paese che non va in bagno senza che qualcuno l'accompagni, che non respira senza una guida spirituale che gli sollevi le braccia, che non esiste senza capipopolo, siano essi ufficiali di navigazione, direttori 2.0 o ex lottatori continuisti.
Per me la questione Sofri si chiude con questa lettera al Foglio di tre anni fa. Ne ho già scritto: al di là della definizione giuridica, pur importante, il problema sta nei contenuti, nelle rivendicazioni, nelle giustificazioni, nelle equiparazioni. Insomma nell'ideologia. Le sentenze (anche quelle probabilmente ingiuste) hanno una data di scadenza, le idee sbagliate purtroppo no. Soprattutto se chi le ha professate, con conseguenze politiche e sociali anche gravi, non è disposto a riconoscerne - nemmeno a quarant'anni di distanza - tutto il potenziale criminogeno. Qui le scuse non le deve solo lo stato a Sofri, ma anche Sofri al resto della società. Ovvero a quelle persone che mentre lui predicava la lotta di classe con mezzi quantomeno discutibili, mandavano avanti il paese senza colpo ferire, e soprattutto senza rivendicare nulla se non la dignità della propria esistenza e del proprio lavoro. Per questo di maestri come Sofri l'Italia non solo può ma deve fare a meno, se vuole diventare grande. Gli ex impiegati della violenza, alllergici come sono alle professioni di umiltà, potrebbero almeno limitarsi a un decoroso silenzio. La loro conversione alle regole della dialettica democratica (di cui è lecito dubitare nonostante montagne di articoli e innumerevoli citazioni nei salotti buoni, anzi proprio per questo) non vale a renderli migliori di chi nella democrazia ha sempre creduto, anche quando i compagni che sbagliavano preferivano la P38. Ognuno si sceglie i modelli che può. Ma sono convinto che di certi esempi di coerenza e moralità possiamo fare tranquillamente a meno, sia come individui che come società. Insomma, ditino alzato a più non posso, ché natura chiama. Ma a casa vostra.
Ma torniamo alla dinastia Sofri, un fenomeno che più italiano non si può (altro che Schettino e De Falco). Se i coniugi sono fenomeni passeggeri assurti a pubblica notorietà - ognuno nel proprio ambito di incompetenza - per la banalità del paesaggio che li (ci) avvolge, la faccenda si fa seria quando si parla di Sofri quello anziano. In libertà da pochi giorni fa al termine di una sentenza che probabilmente non avrebbe dovuto mai scontare (e su questo certamente non è il caso di ironizzare), è stato anch'egli immediatamente intronizzato da agiografi ed entusiasti alla categoria di maestro, filosofo e pensatore di riferimento. Scrive complicato Sofri, almeno per me. Per esempio, del suo libro su Pinelli non sono riuscito a venire a capo. Ma questo è un problema mio. Problema di tutti è invece un paese che non va in bagno senza che qualcuno l'accompagni, che non respira senza una guida spirituale che gli sollevi le braccia, che non esiste senza capipopolo, siano essi ufficiali di navigazione, direttori 2.0 o ex lottatori continuisti.
Per me la questione Sofri si chiude con questa lettera al Foglio di tre anni fa. Ne ho già scritto: al di là della definizione giuridica, pur importante, il problema sta nei contenuti, nelle rivendicazioni, nelle giustificazioni, nelle equiparazioni. Insomma nell'ideologia. Le sentenze (anche quelle probabilmente ingiuste) hanno una data di scadenza, le idee sbagliate purtroppo no. Soprattutto se chi le ha professate, con conseguenze politiche e sociali anche gravi, non è disposto a riconoscerne - nemmeno a quarant'anni di distanza - tutto il potenziale criminogeno. Qui le scuse non le deve solo lo stato a Sofri, ma anche Sofri al resto della società. Ovvero a quelle persone che mentre lui predicava la lotta di classe con mezzi quantomeno discutibili, mandavano avanti il paese senza colpo ferire, e soprattutto senza rivendicare nulla se non la dignità della propria esistenza e del proprio lavoro. Per questo di maestri come Sofri l'Italia non solo può ma deve fare a meno, se vuole diventare grande. Gli ex impiegati della violenza, alllergici come sono alle professioni di umiltà, potrebbero almeno limitarsi a un decoroso silenzio. La loro conversione alle regole della dialettica democratica (di cui è lecito dubitare nonostante montagne di articoli e innumerevoli citazioni nei salotti buoni, anzi proprio per questo) non vale a renderli migliori di chi nella democrazia ha sempre creduto, anche quando i compagni che sbagliavano preferivano la P38. Ognuno si sceglie i modelli che può. Ma sono convinto che di certi esempi di coerenza e moralità possiamo fare tranquillamente a meno, sia come individui che come società. Insomma, ditino alzato a più non posso, ché natura chiama. Ma a casa vostra.
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