Nopasarán. La Spagna è una nazione fondata su due ideologie, il politicamente corretto e il nazionalismo. Non c'è nessun'altra idea di peso che abbia cittadinanza in questo paese da operetta senza spartito, sfilacciato, contorto e ripiegato su se stesso. Del politicamente corretto ho scritto fin troppo. Del nazionalismo non si scriverà mai abbastanza. Non conosco democrazia in cui a questa stortura del pensiero politico, che annulla l'individuo in nome di una fantomatica comunità e promuove sfacciatamente la discriminazione su base identitaria, si assegni un valore così alto, quasi assoluto. Puoi pisciare sul liberalismo, sputare sul capitalismo, sfregiare le parrocchie, ma il nazionalismo no, quello non si tocca. Che sia l'affermazione della nazione spagnola o quella delle cosiddette identità regionali (qui chiamate ovviamente nazionali), tutti i giorni una classe politica inetta inietta nelle vene di una massa plaudente e sfinita la sua dose di veleno totalitario. L'ultima botta di vita arriva da una pronuncia del Tribunale Supremo che, accogliendo un'istanza di tre famiglie catalane, sancisce che è un diritto dei genitori scegliere in che lingua devono essere educati i loro figli, catalano o castellano. In un posto normale, in cui il bilinguismo previsto dalla costituzione venisse regolarmente applicato, una decisione del genere non avrebbe nessuna ragione di esistere, incaricandosi le istituzioni di compiere il loro dovere a tutela delle prerogative di ciascuno. Siccome invece gli stati in cui la teoria e la pratica della democrazia liberale sono considerate inutili ammennicoli i diritti non li garantiscono ma pretendono di crearli o di distruggerli, in Catalogna la sentenza è stata accolta come un'offesa all'identità nazionale. Levata di scudi della dirigenza, barricate, Braveheart. Il tutto in nome del mantenimento di un modello trentennale, fortemente discriminatorio, in base al quale nelle scuole la lingua veicolare (cioè quella in cui si insegnano tutte le materie) è e deve continuare ad essere il catalano. Con buona pace del bilinguismo, della costituzione, e di chi la pensa diversamente. Un franchismo linguistico al contrario, un branco di pecore senza pastore. No pasará, la democrazia.
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