ASSK. L'ultima umiliazione/2.
La seconda settimana del processo ad ASSK è stata anche l'ultima. La corte ha fretta di emettere un verdetto che gli avvocati della Dama e i pochi osservatori ammessi alle udienze considerano "già scritto". La richiesta della difesa di chiamare quattro testimoni, tra cui il veterano U Win Tin, è stata respinta, così come quella di poter conferire con la loro assistita prima della sua testimonianza davanti al tribunale.
ASSK ha risposto martedì alle domande della corte in quella che si può considerare un'occasione perduta. Per uno di quei paradossi delle dittature, per la prima volta dopo molti anni di isolamento, l'icona del movimento democratico birmano aveva a disposizione un palcoscenico pubblico per esprimersi. C'è voluto un processo-farsa per farla uscire di casa, per permetterle di incrociare lo sguardo con estranei, nel caso specifico i diplomatici e i giornalisti birmani presenti all'udienza. ASSK ha preferito però attenersi al copione scritto per lei dalle autorità militari e si è limitata ad esporre la sua versione della vicenda che la vede imputata. Anche nell'ingiustizia in fondo lei è una privilegiata. Gli oltre duemila prigionieri politici che affollano le carceri birmane non hanno avuto la possibilità di fare dichiarazioni davanti a un tribunale, di avvalersi di avvocati difensori (per quanto solo formalmente), la maggior parte di loro non è mai stata sottoposta ad alcun procedimento "legale". ASSK avrebbe potuto parlare per tutti. Non aveva nulla da perdere. Credo sia stato un errore non farlo. Rispondendo alle domande del giudice ha esposto la successione degli eventi, spiegando di essere stata informata della presenza dell'americano dalle sue badanti, di averlo invitato a lasciare la casa ma di non averlo denunciato perché non voleva creargli problemi con le autorità. Ha poi accusato gli stessi apparati di sicurezza di non aver garantito la sua incolumità. Una linea difensiva prevedibile, quasi scontata, certamente logica, per questo del tutto irrilevante ai fini del processo.
Più interessante la dichiarazione di Yettaw, il casus belli attorno a cui si svolge l'intero psicodramma. Ha confermato alla corte che ben cinque ufficiali di sicurezza lo hanno visto dirigersi verso la casa di ASSK ma nessuno di loro lo ha fermato. Pur avendo armi, ha sottolineato, si sono accontentati di tirargli qualche pietra. Purtroppo queste affermazioni arrivano da un personaggio che dice di aver ricevuto una missione divina, quella di avvisare ASSK e il governo birmano del rischio di un attentato terrorista contro la Dama.
Ad estremo scherno, in una sorta di conferenza stampa, l'alto ufficiale di polizia Gen. Myint Thein, ha avuto la sfrontatezza di dichiarare che la giunta stava considerado la possibilità di rilasciare ASSK, una volta esauriti i termini del suo arresto (che peraltro erano scaduti già l'anno scorso). Solo che "purtroppo" proprio in quel momento è arrivata la nuotata dell'americano, e le autorità non hanno potuto fare altro che "aprire un'azione giudiziaria contro di lei, unavoidably and regretfully". Una vera disdetta. Formalmente il provvedimento che imponeva gli arresti domiciliari è stato revocato. ASSK adesso è detenuta in base alle nuove accuse formulate contro di lei. Lo ha riferito uno dei suoi avvocati.
U Win Tin e qualche centinaio di simpatizzanti della NLD continuano ogni giorno la loro veglia silenziosa fuori dal carcere di Insein, dove si sta svolgendo il processo-farsa. "A show trial", così lo ha definito lo stesso presidente Obama che, dopo un lungo silenzio durato quasi una decina di giorni, ha deciso di esporsi in prima persona (prima era stata Hillary a condannare le azioni della giunta). Secondo l'anziano giornalista, che ha passato gli ultimi diciannove anni della sua vita dietro le sbarre, la prevedibile sentenza di condanna non chiuderà i conti con la frustrazione repressa della popolazione: "Mentre siedo davanti al bazaar di Insein ogni giorno - dice all'agenzia Mizzima - vedo la rabbia della gente, in particolare dei giovani. Mi chiedono cosa dovrebbero fare dicendomi che non possono stare seduti tutto il giorno senza agire. Questa volta, ne sono sicuro, non sarà soltanto un'altra storia di ordinaria ingiustizia da parte della giunta militare, perché il livello di rabbia tra la popolazione è alto. E la giunta non può aspettarsi che la gente semplicemente torni a casa, dopo la sentenza contro ASSK. Non sarà così semplice come chiudere il sipario e basta". Ma altri testimoni della realtà birmana non sono d'accordo e spiegano che, se è vero che il livello di preoccupazione e il sentimento di frustrazione sono elevati, lo è altrettanto la paura della repressione, dopo gli eventi del 2007. La gente sussurra intimorita quando parla del processo e in generale non si pronuncia in pubblico. Prevale l'istinto di sopravvivenza, che in Birmania è una questione pratica, non solo psicologica.
Mercoledì la NLD ha ricordato il diciannovesimo anniversario delle elezioni del 1990, le ultime svoltesi nel paese. Come saprete il partito di ASSK aveva vinto con largo margine quelle consultazioni elettorali, poi annullate dai militari. Negli ultimi giorni lo schieramento di polizia e milizie in borghese attorno alla prigione di Insein si è fatto ancora più imponente, segno che la sentenza si avvicina e che il governo teme proteste di piazza. Anche a Mandalay, città ad alta concentrazione di monaci, la sorveglianza è stata aumentata.
La NLD ha diramato l'ennesima lista di richieste al regime, le stesse di sempre: liberazione prigionieri politici, legalizzazione dei partiti, apertura di un processo di dialogo con l'opposizione. Come le altre, anche questa dichiarazione è destinata a rimanere lettera morta.
Sul piano intrernazionale continuano le prese di posizione istituzionali e le campagne degli attivisti per la liberazione della Dama. La giunta è impermeabile, non c'è bisogno di dirlo. L'unica reazione da Naypyidaw si è avuta nei confronti della Thailandia, colpevole di aver espresso "preoccupazione" a nome dell'ASEAN per il giudizio in corso; comunque Bangkok ha già fatto sapere che sono solo parole e che il principio di non interferenza resta alla base della sua politica regionale.
La presentazione delle conclusioni è stata fissata per venerdì prossimo. Poi il verdetto di condanna. E sarà di nuovo silenzio.
La seconda settimana del processo ad ASSK è stata anche l'ultima. La corte ha fretta di emettere un verdetto che gli avvocati della Dama e i pochi osservatori ammessi alle udienze considerano "già scritto". La richiesta della difesa di chiamare quattro testimoni, tra cui il veterano U Win Tin, è stata respinta, così come quella di poter conferire con la loro assistita prima della sua testimonianza davanti al tribunale.
ASSK ha risposto martedì alle domande della corte in quella che si può considerare un'occasione perduta. Per uno di quei paradossi delle dittature, per la prima volta dopo molti anni di isolamento, l'icona del movimento democratico birmano aveva a disposizione un palcoscenico pubblico per esprimersi. C'è voluto un processo-farsa per farla uscire di casa, per permetterle di incrociare lo sguardo con estranei, nel caso specifico i diplomatici e i giornalisti birmani presenti all'udienza. ASSK ha preferito però attenersi al copione scritto per lei dalle autorità militari e si è limitata ad esporre la sua versione della vicenda che la vede imputata. Anche nell'ingiustizia in fondo lei è una privilegiata. Gli oltre duemila prigionieri politici che affollano le carceri birmane non hanno avuto la possibilità di fare dichiarazioni davanti a un tribunale, di avvalersi di avvocati difensori (per quanto solo formalmente), la maggior parte di loro non è mai stata sottoposta ad alcun procedimento "legale". ASSK avrebbe potuto parlare per tutti. Non aveva nulla da perdere. Credo sia stato un errore non farlo. Rispondendo alle domande del giudice ha esposto la successione degli eventi, spiegando di essere stata informata della presenza dell'americano dalle sue badanti, di averlo invitato a lasciare la casa ma di non averlo denunciato perché non voleva creargli problemi con le autorità. Ha poi accusato gli stessi apparati di sicurezza di non aver garantito la sua incolumità. Una linea difensiva prevedibile, quasi scontata, certamente logica, per questo del tutto irrilevante ai fini del processo.
Più interessante la dichiarazione di Yettaw, il casus belli attorno a cui si svolge l'intero psicodramma. Ha confermato alla corte che ben cinque ufficiali di sicurezza lo hanno visto dirigersi verso la casa di ASSK ma nessuno di loro lo ha fermato. Pur avendo armi, ha sottolineato, si sono accontentati di tirargli qualche pietra. Purtroppo queste affermazioni arrivano da un personaggio che dice di aver ricevuto una missione divina, quella di avvisare ASSK e il governo birmano del rischio di un attentato terrorista contro la Dama.
Ad estremo scherno, in una sorta di conferenza stampa, l'alto ufficiale di polizia Gen. Myint Thein, ha avuto la sfrontatezza di dichiarare che la giunta stava considerado la possibilità di rilasciare ASSK, una volta esauriti i termini del suo arresto (che peraltro erano scaduti già l'anno scorso). Solo che "purtroppo" proprio in quel momento è arrivata la nuotata dell'americano, e le autorità non hanno potuto fare altro che "aprire un'azione giudiziaria contro di lei, unavoidably and regretfully". Una vera disdetta. Formalmente il provvedimento che imponeva gli arresti domiciliari è stato revocato. ASSK adesso è detenuta in base alle nuove accuse formulate contro di lei. Lo ha riferito uno dei suoi avvocati.
U Win Tin e qualche centinaio di simpatizzanti della NLD continuano ogni giorno la loro veglia silenziosa fuori dal carcere di Insein, dove si sta svolgendo il processo-farsa. "A show trial", così lo ha definito lo stesso presidente Obama che, dopo un lungo silenzio durato quasi una decina di giorni, ha deciso di esporsi in prima persona (prima era stata Hillary a condannare le azioni della giunta). Secondo l'anziano giornalista, che ha passato gli ultimi diciannove anni della sua vita dietro le sbarre, la prevedibile sentenza di condanna non chiuderà i conti con la frustrazione repressa della popolazione: "Mentre siedo davanti al bazaar di Insein ogni giorno - dice all'agenzia Mizzima - vedo la rabbia della gente, in particolare dei giovani. Mi chiedono cosa dovrebbero fare dicendomi che non possono stare seduti tutto il giorno senza agire. Questa volta, ne sono sicuro, non sarà soltanto un'altra storia di ordinaria ingiustizia da parte della giunta militare, perché il livello di rabbia tra la popolazione è alto. E la giunta non può aspettarsi che la gente semplicemente torni a casa, dopo la sentenza contro ASSK. Non sarà così semplice come chiudere il sipario e basta". Ma altri testimoni della realtà birmana non sono d'accordo e spiegano che, se è vero che il livello di preoccupazione e il sentimento di frustrazione sono elevati, lo è altrettanto la paura della repressione, dopo gli eventi del 2007. La gente sussurra intimorita quando parla del processo e in generale non si pronuncia in pubblico. Prevale l'istinto di sopravvivenza, che in Birmania è una questione pratica, non solo psicologica.
Mercoledì la NLD ha ricordato il diciannovesimo anniversario delle elezioni del 1990, le ultime svoltesi nel paese. Come saprete il partito di ASSK aveva vinto con largo margine quelle consultazioni elettorali, poi annullate dai militari. Negli ultimi giorni lo schieramento di polizia e milizie in borghese attorno alla prigione di Insein si è fatto ancora più imponente, segno che la sentenza si avvicina e che il governo teme proteste di piazza. Anche a Mandalay, città ad alta concentrazione di monaci, la sorveglianza è stata aumentata.
La NLD ha diramato l'ennesima lista di richieste al regime, le stesse di sempre: liberazione prigionieri politici, legalizzazione dei partiti, apertura di un processo di dialogo con l'opposizione. Come le altre, anche questa dichiarazione è destinata a rimanere lettera morta.
Sul piano intrernazionale continuano le prese di posizione istituzionali e le campagne degli attivisti per la liberazione della Dama. La giunta è impermeabile, non c'è bisogno di dirlo. L'unica reazione da Naypyidaw si è avuta nei confronti della Thailandia, colpevole di aver espresso "preoccupazione" a nome dell'ASEAN per il giudizio in corso; comunque Bangkok ha già fatto sapere che sono solo parole e che il principio di non interferenza resta alla base della sua politica regionale.
La presentazione delle conclusioni è stata fissata per venerdì prossimo. Poi il verdetto di condanna. E sarà di nuovo silenzio.
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