25 ago 2004

Cina. Pensieri sparsi/2. Apparentemente quella cinese non è la società grigia, spenta, anestetizzata, che chi ha viaggiato nei paesi del blocco sovietico nel corso e alla fine dell’era comunista ha potuto conoscere. Le città sono in genere caotiche e disordinate e i cinesi dappertutto. Ad ogni ora si cucina e si mangia e tutto avviene per strada (quasi sempre in condizioni igieniche molto precarie). La circolazione delle auto e delle biciclette è completamente fuori controllo e i pedoni sanno i rischi che corrono. La sensazione è che – al di là del processo macroenomico in corso – la popolazione viva ogni giorno delle piccole attività commerciali aperte al pubblico spesso fino a tarda ora. In Cina si può mangiare (bene) con un euro e mezzo, ci si può vestire con quattro euro, un CD musicale ne costa uno. Alla lunga per un occidentale è faticoso muoversi in un ambiente così difficile da decifrare: Luoyang per esempio è una città di tre strade e sei milioni abitanti. Il governo sta continuando a spostare gente dalle campagne come se avesse un piano. Ma gran parte della popolazione urbana si trova in condizioni di evidente degrado. Non c’è nulla di esotico nella sporcizia e nella miseria: solo lo specchio di un regime che ha sempre utilizzato i cinesi come pedine da muovere a piacimento in un gioco di cui non sono mai stati protagonisti. Camminare in un mercato di Luoyang, nel quartiere musulmano di Xi’an, nelle strade sterrate di Yan’an, tra le baracche addossate ai grattacieli di Shanghai aiuta a capire perchè la Cina sia ancora al novantaquattresimo posto nell’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite a venti lunghezze dall’Albania, tra l’Azerbaijan e la Georgia.
In Cina si contano 55 nazionalità oltre alla Han che è la principale (91 %): mongoli, manchu, kirghizi, uiguri, tagichi e così via. Lo Stato dichiara ufficialmente di garantirne i diritti e di proteggerle in condizioni di uguaglianza. Ovviamente è un’altra menzogna. Se prendi un treno capisci che i cinesi non sono «tutti uguali», nemmeno fisicamente. Ne vedi molti di volti diversi, uomini, donne, anziani, bambini in piedi o seduti nelle gigantesche sale d’attesa, a volte ben vestiti, più spesso con abiti e borse di fortuna. Aspettano. Anche se hanno tutti il biglietto con il posto assegnato magari sono lì da ore e quando si aprirà il cancello in mille correranno verso l’entrata spingendosi per passare. E non capirai perchè. In Cina succede spesso di non capire perchè. La Cina delle sale d’aspetto delle stazioni è un affresco che a parole non puoi dipingere.

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