5 ene 2020

Dopo Soleimani. Sono passati tre giorni dall'uccisione di Soleimani, gli ayatollah hanno minacciato l'apocalisse ma finora hanno soltanto issato una bandiera rossa, organizzato un corteo funebre e lanciato quattro missili sull'Iraq. Insomma, non hanno contrattaccato. Le spiegazioni a mio avviso possono essere due: la prima, aspettano il momento opportuno per vendicarsi alla grande; la seconda, la loro capacità di reazione è limitata. Personalmente propendo per quest'ultima opzione. Il perché è presto spiegato: sono le stesse tattiche utilizzate dai palestinesi e dalle milizie di Hezbollah nel conflitto con Israele. Si minaccia un inferno, ma nella pratica ci si limita ad azioni puntuali e il più delle volte dimostrative. Esattamente il contrario di quanto fa Israele, le cui risposte sono sempre contundenti e spesso definitive in termini di perdite personali e strutturali dell'avversario. Azioni meno frequenti ma più letali in termini bellici. Nel caso palestinese l'inferiorità militare è conclamata e le tattiche di provocazione e guerriglia terrorista sono le uniche a disposizione. Nel caso iraniano siamo di fronte a un regime armato e in teoria capace di sostenere un conflitto prolungato. Ma è proprio così? Ho l'impressione che le minacce in assenza di rappresaglie significative siano il sintomo della consapevolezza iraniana della propria inferiorità militare nei confronti di USA, Israele e Arabia Saudita. Sembra una considerazione ovvia, ma non lo è tanto, soprattutto se si considerano le lamentazioni di un occidente terrorizzato (comprensibilmente) dalla prospettiva di un conflitto. Un conflitto altamente improbabile, nonostante il fanatismo degli ayatollah, proprio per la sproporzione di forze a sfavore dell'Iran. Questo non significa che tutto finirà qui, anzi probabilmente assistiremo a un'escalation di qualche tipo. Ma difficilmente la situazione sfocerà in una guerra generalizzata e questo grazie a due fattori: uno, già detto, relativo al potenziale bellico; un altro, decisivo, rappresentato dal fatto che, con l'uccisione di Soleimani, gli Stati Uniti, dopo gli anni obamiani dell'appeasement, hanno assunto di nuovo l'iniziativa in medioriente e riaffermato la loro intenzione di rispondere colpo su colpo. Ed è esattamente questo che, come sempre, non viene loro perdonato dalle anime belle del pacifismo, oggettivamente alleato dell'islamo-fascismo. Ma pazienza, se questo serve a indebolire all'interno e all'esterno un regime infame, ben vengano le invettive degli alleati veri o presunti.

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