Canta che ti passa. In Norvegia oggi quarantamila persone hanno cantato una canzone che (cito da Il Post) "parla di un cielo pieno di stelle, del mare azzurro e di terre piene di fiori, dove vivono i bambini dell’arcobaleno". L'hanno fatto per manifestare contro Breivik, il serial killer che qualche mese fa ha sterminato a sangue freddo una settantina di persone. Per capirci: un nazista biondo fa una strage di proporzioni epiche, semina il terrore per ore, ammazza come conigli decine di ragazzi, e i norvegesi - invece di sotterrarlo vivo - gli dedicano un motivetto da figli dei fiori. Diranno che è una forma altissima di protesta civile. Diranno che dimostra la superiorità della civiltà dell'amore e della convivenza sulla brutalità della violenza. Diranno che è un esempio dello sviluppo sociale dei paesi scandinavi. Diranno un sacco di stronzate come queste. Ma non diranno che con questa pagliacciata politicamente corretta la Norvegia si è definitivamente consegnata al suo assassino, dimostrando che ama l'idea che ha di se stessa e del suo presunto modello più dei suoi figli. Lo si era già intuito il giorno dello sterminio, quando mandarono poliziotti disarmati a fermare il criminale impazzito, un'ora e mezza dopo, con la proverbiale calma socialdemocratica. Poi quella prigione, tirata a lucido, piena di accessori, mancava il cinemascope (o c'era?). E questo giudizio, bellino, pulito, profumato, in perfetto stile progre, con il nazista che piange, rivendica, e quella voglia matta di dichiararlo malato di mente e non se ne parli più. Tutto molto civile, in effetti. Come lo zecchino d'oro di oggi. Nessuno che in tutti questi mesi abbia preso un fucile e sia andato a fare quel che il modernissimo stato norvegese non sarà mai in grado di garantire, un minimo di giustizia. Breivik finirà per insegnare educazione civica ai bambini, dopo qualche anno di carcere alla Pablo Escobar. Ogni volta che penso al modello scandinavo mi vengono i conati di vomito.
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