Il pregiudizio anti-religioso/3.
Nel tentativo di eliminare l’elemento religioso dalla categoria dei
fenomeni sociali, i laicisti finiscono per cadere nell’eccesso opposto,
quello di sopravvalutare l’influenza che la religione esercita sugli
individui, sulle comunità e sulle istituzioni. Questa tendenza va oltre
la condanna della religione cattolica (che, come si è visto, dipende
nella maggior parte dei casi da riflessi condizionati anti-capitalisti e
anti-occidentali) e si estende ad altre religioni storiche,
principalmente all’ebraismo e all’Islam. La stessa lettura delle vicende
geopolitiche internazionali ne esce falsata. E’ frequente ad esempio,
nell’interpretazione degli avvenimenti in medioriente, cadere nella
semplificazione secondo cui il decennale scontro tra Israele e i suoi
vicini rientrerebbe nella casistica della lotta fra integralismi
religiosi uguali e contrari. Di nuovo, la religione come causa di tutti i
mali. Questa visione ha il grande merito, agli occhi dei suoi fautori,
di risparmiare l’analisi delle dinamiche politiche e sociali interne ai
paesi coinvolti e di evitare paragoni che potrebbero risultare non in
linea con i dogmi del politicamente corretto. Se faccio notare che
Israele è una democrazia nella quale vivono centinaia di migliaia di
cittadini di origine araba mentre i suoi vicini sono generalmente
dittature nel cui territorio non posso nemmeno mettere piede se sul mio
passaporto c’è un timbro israeliano, normalmente verrò accusato di
imperialismo e sionismo. Ma se accomuno in un’unica censura il fanatismo
religioso dei rabbini con le invocazioni filo-terroriste degli imam,
allora ho qualche possibilità di essere ascoltato e preso sul serio.
Prendiamo poi il caso della (defunta) strategia americana di diffusione
della democrazia in medioriente. Ci sono diversi modi di rifiutarne
metodi e finalità: dire che è tutta una montatura per coprire interessi
geo-strategici ed economici, tacciarla di imperialismo e di militarismo,
presentarla come una nuova crociata e così via. Ma esiste anche forma
più subdola di denigrazione, quella che fa leva sull’irriformabilità
dell’Islam, sull’impossibilità per le società musulmane di raggiungere
livelli di sviluppo politico e sociale paragonabili a quelli
occidentali. E’ inutile tentare di democratizzare paesi condannati per
l’eternità al medioevo islamico. Ancora una volta, non sarebbe la
struttura autocratica e illiberale delle società coinvolte a impedirne
l’affrancamento, ma il peso della religione sulla vita dei cittadini.
Non varrebbe la pena, in sostanza, cercare di aprire al mondo popoli
soggetti alla dittatura e alla repressione, in quanto l’elemento
religioso finirebbe sempre per prevalere, impedendo qualsiasi
evoluzione. Pensiero consolante e vagamente razzista. Pensiero che
assegna alla religione un ruolo totalizzante e ai principi della
democrazia liberale una funzione del tutto marginale. Pensiero proprio
di chi non crede che l’individuo possa trasformarsi nel motore del
cambiamento. Se l’Islam è il problema maggiore, la tirannia, le camere
di tortura, l’assenza delle libertà fondamentali diventano
automaticamente questioni secondarie. Non ha senso scomodarsi per aprire
società chiuse se alla fine la chiusura dipende dalla religione e non
dalle ideologie totalitarie che ne determinano la radicalizzazione. In
questa inversione delle responsabilità sta l’ennesima manipolazione su
cui il pregiudizio anti-religioso fonda la sua presunta legittimità.
Come ogni forma di discriminazione ha bisogno di presentare l’oggetto
della sua disapprovazione in forma caricaturale, per guadagnare appoggio
e visibilità. Ma, al contrario di altre forme di discriminazione, gode
di un consenso sociale generalizzato e aumenta progressivamente i suoi
adepti. Insieme al politicamente corretto, di cui è manifestazione
preminente, sarà probabilmente ricordato tra qualche decennio come un
esempio paradigmatico dell’impazzimento ideologico che ha caratterizzato
la società occidentale tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo (fine).
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