Corea del Nord. Una tragedia evitata?
Lo scorso giugno la Corea del Nord si trovava, secondo alcuni riconosciuti esperti, sull'orlo di una nuova carestia. I prezzi degli alimenti erano esplosi e la scarsità di cibo stava provocando le prime morti nelle campagne, soprattutto nel nord-est del paese. Si descrivevano scene già viste dieci anni prima durante la grande fame che uccise da uno a due milioni di persone. Famiglie costrette a mangiare erbe, rinascita del mercato nero e perfino rivolte più o meno estese nei centri urbani ed in alcune fabbriche. Ma soprattutto i granai dell'esercito erano vuoti e i militari, la prima linea del potere di Kim Jong Il, mostravano segnali di insofferenza che in alcuni casi sfioravano l'insubordinazione. Anche nella capitale Pyongyang, dove le classi dirigenti vivono al riparo dalle avversità che quotidianamente colpiscono il resto della popolazione, le razioni alimentari avevano subito una brusca riduzione. Oggi, otto mesi dopo, gli stessi esperti constatano che la temuta carestia non si è prodotta e che addirittura i prezzi del riso, alimento essenziale nella scarna dieta dei nordcoreani, stanno sensibilmente diminuendo: in media, rispetto a due mesi fa, un chilogrammo di riso costa 300-400 won in meno, un quinto del totale. Cosa è accaduto? Erano sbagliate le previsioni catastrofiste o il regime è corso ai ripari? In effetti gli elementi per una ripetizione della crisi alimentare c'erano tutti, non ultima una serie di inondazioni che avevano devastato parte dei raccolti nel 2007 lasciando allo scoperto milioni di persone. Ma probabilmente - e quando si parla di Corea del Nord il condizionale diventa imperativo - il rischio di una rivolta dell'esercito ha fatto scattare l'allarme nei palazzi del potere, in cui in questi mesi peraltro ha comandato non si sa bene chi, causa malattia del Caro Leader. E' successo allora che il governo ha deciso di comprare cibo, convertendo i proventi dell'export in alimenti e sopperendo in questo modo alla carenza interna. Informa la stazione Open Radio, che trasmette illegalmente in alcune zone di territorio nordcoreano, che a gennaio è arrivato il primo carico di 500 tonnellate di riso dalla Cina, acquistato con una sorta di baratto sulle materie prime esportate. "Il carbone - si legge sul sito web della stazione - è normalmente venduto per l'equivalente di 65 $ per tonnellata ma l'importo guadagnato con queste transazioni è in questo momento convertito in cibo e trasportato in Corea. Per 7,5 tonnellate di carbone si ottiene una tonnellata di riso". Questo riso non è destinato a nutrire direttamente la popolazione ma piuttosto a soddisfare le necessità dell'esercito. Il risultato finale è lo stesso, considerato che la paura di confische per mantenere fedeli i militari era stata una delle cause principali dell'impazzimento dei prezzi nei mesi scorsi: "Il riso - leggiamo ancora - è immagazzinato per l'emergenza e non viene venduto nei mercati ai cittadini. Sembra che queste attività siano finalizzate a creare scorte per i soldati in preparazione di un inasprimento delle ostilità fra nord e sud". E' quindi probabile che la Corea del nord, nel ripristinare una situazione alimentare accettabile, abbia comunque come primo obiettivo la compattezza delle truppe in vista di uno scontro con il sud. Potrebbe sembrare fantascienza ma vista la retorica e soprattutto la natura del regime di Pyongyang non lo è affatto. Proprio in occasione del viaggio di Hillary Clinton, i comunisti hanno alzato il livello dello scontro, minacciando il lancio di nuovi missili e sfidando apertamente Seoul. Che Kim Jong Il si stia davvero preparando per la guerra o meno, è certo che l'importazione di cibo ha determinato una drastica riduzione dei prezzi e scongiurato per il momento la carestia. A questo elemento si devono aggiungere un raccolto 2008 certamente superiore al previsto e un verosimile aumento di aiuti provenienti dagli Stati Uniti (nonostante lo stallo sul nucleare) e dalla Cina. Il quadro ad oggi, se non stabile, è almeno quello di una tragedia evitata. Interessante comunque notare alcune dinamiche interne all'economia nordcoreana che dimostrano tutta la nocività di una politica di controllo assoluto dello stato sull'economia. Quando parliamo di mercati nel caso nordcoreano non dobbiamo pensare ad un giro di compravendite o di transazioni nemmeno lontanamente paragonabile a quello cui siamo abituati. Stiamo invece ragionando su attività economiche il più delle volte improvvisate, createsi in maniera spontanea, per necessità o disperazione, al di fuori dei vincoli della pianificazione statale, quasi sempre represse e a volte tollerate in situazioni di particolare emergenza. Una valvola di sfogo naturale, l'unica possibile, per una popolazione costantemente alle prese con problemi di sussistenza. Queste attività, quando raggiungono livelli di diffusione che il regime considera suscettibili di sfuggire al suo controllo, vengono schiacciate senza troppi patemi. E'successo più volte negli ultimi anni e, nota ancora Open Radio, è stato proprio in occasione di queste ondate repressive che i prezzi alimentari sono schizzati verso l'alto: "L'aumento del prezzo del riso nell'ottobre 2005 fu influenzato dall'annuncio del governo di ritornare al vecchio sistema di razionamento del cibo. Nel maggio 2006 il governo riprese il controllo dei mercati con il pretesto di piantare più riso e provocarne un innalzamento del prezzo. Nell'agosto 2007, quando vennero lanciate diverse campagne di controllo dei mercati sotto lo slogan "Sconfiggiamo gli elementi antisocialisti", il prezzo del riso crebbe di nuovo drasticamente. Infine, nell'aprile scorso anno, ha toccato il tetto dei 4000 won al chilogrammo, una quota senza precedenti. Durante questo periodo sono state adottate misure che limitavano l'età delle donne nei mercati". Insomma, solo nei rari e brevi momenti in cui una società totalmente oppressa ha trovato la forza di sfidare le regole, l'economia ha respirato. Per il resto sono stati sessant'anni di catastrofi e arretratezza, in uno dei più folli esperimenti sociali mai concepiti.
Lo scorso giugno la Corea del Nord si trovava, secondo alcuni riconosciuti esperti, sull'orlo di una nuova carestia. I prezzi degli alimenti erano esplosi e la scarsità di cibo stava provocando le prime morti nelle campagne, soprattutto nel nord-est del paese. Si descrivevano scene già viste dieci anni prima durante la grande fame che uccise da uno a due milioni di persone. Famiglie costrette a mangiare erbe, rinascita del mercato nero e perfino rivolte più o meno estese nei centri urbani ed in alcune fabbriche. Ma soprattutto i granai dell'esercito erano vuoti e i militari, la prima linea del potere di Kim Jong Il, mostravano segnali di insofferenza che in alcuni casi sfioravano l'insubordinazione. Anche nella capitale Pyongyang, dove le classi dirigenti vivono al riparo dalle avversità che quotidianamente colpiscono il resto della popolazione, le razioni alimentari avevano subito una brusca riduzione. Oggi, otto mesi dopo, gli stessi esperti constatano che la temuta carestia non si è prodotta e che addirittura i prezzi del riso, alimento essenziale nella scarna dieta dei nordcoreani, stanno sensibilmente diminuendo: in media, rispetto a due mesi fa, un chilogrammo di riso costa 300-400 won in meno, un quinto del totale. Cosa è accaduto? Erano sbagliate le previsioni catastrofiste o il regime è corso ai ripari? In effetti gli elementi per una ripetizione della crisi alimentare c'erano tutti, non ultima una serie di inondazioni che avevano devastato parte dei raccolti nel 2007 lasciando allo scoperto milioni di persone. Ma probabilmente - e quando si parla di Corea del Nord il condizionale diventa imperativo - il rischio di una rivolta dell'esercito ha fatto scattare l'allarme nei palazzi del potere, in cui in questi mesi peraltro ha comandato non si sa bene chi, causa malattia del Caro Leader. E' successo allora che il governo ha deciso di comprare cibo, convertendo i proventi dell'export in alimenti e sopperendo in questo modo alla carenza interna. Informa la stazione Open Radio, che trasmette illegalmente in alcune zone di territorio nordcoreano, che a gennaio è arrivato il primo carico di 500 tonnellate di riso dalla Cina, acquistato con una sorta di baratto sulle materie prime esportate. "Il carbone - si legge sul sito web della stazione - è normalmente venduto per l'equivalente di 65 $ per tonnellata ma l'importo guadagnato con queste transazioni è in questo momento convertito in cibo e trasportato in Corea. Per 7,5 tonnellate di carbone si ottiene una tonnellata di riso". Questo riso non è destinato a nutrire direttamente la popolazione ma piuttosto a soddisfare le necessità dell'esercito. Il risultato finale è lo stesso, considerato che la paura di confische per mantenere fedeli i militari era stata una delle cause principali dell'impazzimento dei prezzi nei mesi scorsi: "Il riso - leggiamo ancora - è immagazzinato per l'emergenza e non viene venduto nei mercati ai cittadini. Sembra che queste attività siano finalizzate a creare scorte per i soldati in preparazione di un inasprimento delle ostilità fra nord e sud". E' quindi probabile che la Corea del nord, nel ripristinare una situazione alimentare accettabile, abbia comunque come primo obiettivo la compattezza delle truppe in vista di uno scontro con il sud. Potrebbe sembrare fantascienza ma vista la retorica e soprattutto la natura del regime di Pyongyang non lo è affatto. Proprio in occasione del viaggio di Hillary Clinton, i comunisti hanno alzato il livello dello scontro, minacciando il lancio di nuovi missili e sfidando apertamente Seoul. Che Kim Jong Il si stia davvero preparando per la guerra o meno, è certo che l'importazione di cibo ha determinato una drastica riduzione dei prezzi e scongiurato per il momento la carestia. A questo elemento si devono aggiungere un raccolto 2008 certamente superiore al previsto e un verosimile aumento di aiuti provenienti dagli Stati Uniti (nonostante lo stallo sul nucleare) e dalla Cina. Il quadro ad oggi, se non stabile, è almeno quello di una tragedia evitata. Interessante comunque notare alcune dinamiche interne all'economia nordcoreana che dimostrano tutta la nocività di una politica di controllo assoluto dello stato sull'economia. Quando parliamo di mercati nel caso nordcoreano non dobbiamo pensare ad un giro di compravendite o di transazioni nemmeno lontanamente paragonabile a quello cui siamo abituati. Stiamo invece ragionando su attività economiche il più delle volte improvvisate, createsi in maniera spontanea, per necessità o disperazione, al di fuori dei vincoli della pianificazione statale, quasi sempre represse e a volte tollerate in situazioni di particolare emergenza. Una valvola di sfogo naturale, l'unica possibile, per una popolazione costantemente alle prese con problemi di sussistenza. Queste attività, quando raggiungono livelli di diffusione che il regime considera suscettibili di sfuggire al suo controllo, vengono schiacciate senza troppi patemi. E'successo più volte negli ultimi anni e, nota ancora Open Radio, è stato proprio in occasione di queste ondate repressive che i prezzi alimentari sono schizzati verso l'alto: "L'aumento del prezzo del riso nell'ottobre 2005 fu influenzato dall'annuncio del governo di ritornare al vecchio sistema di razionamento del cibo. Nel maggio 2006 il governo riprese il controllo dei mercati con il pretesto di piantare più riso e provocarne un innalzamento del prezzo. Nell'agosto 2007, quando vennero lanciate diverse campagne di controllo dei mercati sotto lo slogan "Sconfiggiamo gli elementi antisocialisti", il prezzo del riso crebbe di nuovo drasticamente. Infine, nell'aprile scorso anno, ha toccato il tetto dei 4000 won al chilogrammo, una quota senza precedenti. Durante questo periodo sono state adottate misure che limitavano l'età delle donne nei mercati". Insomma, solo nei rari e brevi momenti in cui una società totalmente oppressa ha trovato la forza di sfidare le regole, l'economia ha respirato. Per il resto sono stati sessant'anni di catastrofi e arretratezza, in uno dei più folli esperimenti sociali mai concepiti.
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