18 dic 2008

Rivoluzione Culturale reloaded. Anche sul Foglio online.



Il 21 novembre scorso Yang Shiqun, professore di cinese antico alla East China University of Political Science and Law di Shanghai, scrive quasi incredulo sul suo blog: "Oggi sono stato convocato dal mio superiore. Alcuni studenti del mio corso mi hanno denunciato all'Ufficio di Pubblica Sicurezza e al Comitato Educativo Cittadino per aver criticato il governo. E' in corso un'investigazione”. Il professor Yang fa riferimento a un interrogatorio cui i dirigenti dell’istituto lo avevano sottoposto per verificare se durante le lezioni avesse fatto cenno ad organizzazioni illegali o a siti web stranieri. L’umiliazione si sarebbe ripetuta il giorno dopo, questa volta alla presenza di ufficiali di polizia. Le minute delle venti lezioni del corso smascherano gli orrendi crimini del docente: l’aver messo l’accento sull’importanza della conoscenza storica, della libertà di insegnamento, del pensiero critico. "Ricordo che due studentesse si sono avvicinate a me attaccandomi con rabbia per aver osato contestare la cultura e il governo cinese: avevano persino le lacrime agli occhi", aggiunge Yang prima di cancellare il post per le minacce ricevute. A inchiesta ancora in corso, il suo caso presenta diversi elementi di interesse. A sorprendere non è tanto la mentalità poliziesca dimostrata da una parte del corpo studentesco quanto la predisposizione, propria di un dogmatismo ideologico d’altri tempi, a rendersi complici del regime fino a diventarne gli occhi e le orecchie; si aggiunga il peso della pressione sociale esercitata sul professore per eliminare dal suo blog il racconto di quanto avvenuto: se da altri internauti sono giunti messaggi di solidarietà, sul forum online dell'università studenti e colleghi hanno in maggioranza espresso supporto per l'azione dei delatori; infine va sottolineato come la vicenda sia riuscita a penetrare le maglie della censura fino ad arrivare sulle pagine della stampa nazionale, dall’impertinente Southern Metropolis Weekly all'ufficiale China Daily, testata che normalmente pubblica solo le veline del regime in inglese. Se è vero che episodi simili si erano verificati altre volte negli ultimi anni, avevano però coinvolto istituzioni didattiche di località periferiche, lontane dalla centralità propagandistica dell’Università di Scienze Politiche di Shanghai. “Quando penso alle cose che stanno succedendo ultimamente nelle scuole di questo paese non posso fare altro che pregare in silenzio per la società cinese e la sua gente”, conclude Yang in attesa di conoscere il suo destino di controrivoluzionario.

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